Museo Venturino Venturi
Loro Ciuffenna (AR)
Piazza Matteotti 2
055-9170136
055-9170130
archivioventurinoventuri@gmail.com
cultura@comune.loro-ciuffenna.ar.it
grafica di Alice Rovai (2023)
SALA A
VENTURINO TRA FIRENZE E MILANO
E infine Venturino chiese a Rosai il piacere di posare per lui, e Rosai acconsentì. Venturino gli capitava nello studio alle ore più imprevedibili. Una mattina picchiò alla porta di casa prima delle cinque. Rosai, che era andato a dormire alle tre, si svegliò di soprassalto imprecando contro il disturbatore. Si affacciò infuriato alla finestra, e visto che era Venturino gli gridò: accidenti ai santi!
R.Bilenchi, Amici, 1988
Venturino Venturi, Ottone Rosai, cemento, 1938
Gli esordi di Venturino Venturi risalgono al suo primo soggiorno fiorentino. Nel 1938 con la magistrale testa di Ottone Rosai anticipò la sua prima stagione dei ritratti, cui presto si affiancarono le effigi dei familiari. La prima mostra a Firenze, nel 1945, segnò la svolta nella carriera del giovane artista: era stato in guerra e la guerra lo aveva avvicinato all'umanità, d'ora in poi al centro di ogni suo pensiero di uomo e di artista. In un breve volgere di anni i ritratti dei familiari, quelli delle amiche Anna, Priska e Norma, popolarono il suo personale ed intimo pantheon. Partecipò ai dibattiti fiorentini sull'arte, ma dai suoi scritti traspare una insofferenza per la cultura cittadina nella quale avvertiva chiusure di matrice ideologica. Nel 1947 si trasferì a Milano, attratto dai fermenti di quella che allora era la capitale della cultura italiana. Frequentava la Galleria del Naviglio di Carlo Cardazzo, dove conobbe gli artisti che si riconoscevano nella compagine di Lucio Fontana. Invitato ad aderire al Manifesto dello Spazialismo, non volle schierarsi, pur condividendone la positiva tensione creativa. In quegli anni elaborò il proprio peculiare naturalismo astratto, liberando la propria ricerca dalle rigide assialità di coloro che a Firenze avevano firmato il Manifesto dell'Astrattismo classico. I Monotipi - impressioni su carta da matrici di linoleum o di legno - di quegli anni, pur conservando l'ordine geometrico, scivolano verso segni di arcaica pregnanza, e riappaiono forme globulari e primigenie, con l'embrione, il ventre e la spirale, che, pur mantenendo una derivazione figurativa, si risolvono nei segni avvolgenti di un universo ancora in fieri.
Atomo, olio su carta, 1948
Meccanismo, olio su carta, 1948
Lunare, olio su carta, 1948
Enzo Faraoni, cemento, 1946
La signora Pagni, cemento, 1946
Reginella Lucangeli, cemento, 1938
SALA B
LA GUERRA
Ho visto la grande scultura, a tutto tondo, mostra un uomo di sempre e antico, immagine della sofferenza e del perdono, della solidarietà e dell'amore, un uomo che si porta le pene del mondo preistorico. Il suo braccio destro pende lungo il fianco, sul petto, sul ventre porta profondi incavi, larghe e profonde piaghe di dolore. Ma il braccio sinistro non è inerme come il suo gemello; quella mano, d'improvviso, solidale e fremente, s'aggancia a un'altra mano: quella della donna che gli sta alle spalle. La donna, la madre.
L. Piccioni, Incontro con Venturino, 1979
Venturino Venturi, Monumento alla Famiglia umana, 1979
La seconda guerra mondiale ha definitivamente archiviato il Monumento ai Caduti, relegando le innumerevoli rappresentazioni di coraggio e abnegazione, che dalla prima guerra mondiale campeggiano nelle piazze italiane, al rango di obsolete memorie di un passato ormai lontano. Venturino, sollecitato dalla sua comunità, nel 1979 pensò a un Monumento in memoria di una tragedia che aveva colpito nel vivo quella sua gente, ed egli scolpì un grande blocco di marmo: di spalle un uomo e una donna con un bambino, di fianco le mani allacciate dei due. Il Monumento alla Famiglia umana, venne detto,
e fu contro tutte le guerre. La guerra Venturino l'aveva combattuta e ne era uscito segnato nel corpo e nell'animo. Ferite mai risarcite, se nel 1958 di nuovo nella sofferenza ne espresse lo strazio con il Mondo in guerra, la Ferita e la Battaglia, tre grandi carte a tempera e cera, che, con il segno informale, toccano la sostanza della sofferenza. Era Venturino nel 1958 ricoverato nell'ospedale di San Salvi a Firenze per una grave crisi psichica, e gli fu concesso di esprimere la propria angoscia su grandi fogli che tracciava chino sul pavimento dell'ospedale.
Bozzetto per il Monumento alla Famiglia umana, 1973
Il mondo in guerra, pastelli a cera e matita su carta, 1958
La ferita, pastelli a cera e matita su carta, 1958
Il cielo è in guerra.
Lampi, tuoni, grida, tutto scoppia. Le mie statue si muovono calme, troppo.
Il mio petto si gonfia, freme. Le mie mani strappano, graffiano, rodono.
Venturino Venturi
SALA C
GALLERIA DEI RITRATTI
Venturino cerca di ogni testa il contatto con lo spazio. Ogni testa è innanzitutto per lui un incontro di piani da ritrovare, un giro di orbite da intercettare, una serie di punti di contatto per saldature spaziali. Non sarà male ricordarsi che Venturino era a Milano nel 1947-49, quando nasceva l'arte così detta spaziale. E i buchi e i tagli del geniale Fontana non furono che i facili paradossi di una scultura che voglia aggredire lo spazio, mantenersi all'altezza di un mondo spaziale di concepire la figurazione. Questo fa ancora Venturino, e una nuova testa da cui cavare un ritratto è ancora per lui soltanto una nuova emozione da provare per un contatto con lo spazio non ancora realizzato.
A. Parronchi, Ritratti di Venturino, 1970
Venturino Venturi, Mario Luzi, 1953
I ritratti scolpiti e modellati da Venturino Venturi nel corso di tutta la sua vita sono tra i capolavori della scultura italiana del novecento. Alessandro Parronchi, Lionello De Luigi, Fiamma Vigo, Vito Taverna, Mario Luzi, Vittoria Guerrini, Lionello De Luigi, le cui effigi risalgono tutte al 1953 -54 , furono prima di tutto amici cari poi illustri personalità della cultura italiana. Indifferente alla penetrazione psicologica, Venturino li modellava in modo che ciascuno apparisse munito di tutto ciò che serve per vivere nella dimensione dello spirito. Furono gli anni della impresa collodiana quando, appena rientrato da Milano e padrone delle proprie potenzialità espressive, vinse il concorso per un Monumento a Pinocchio bandito dalla Fondazione Collodi. Si trattò di una piazza circondata da un muro sagomato rivestito da 900 mq di superficie musiva con al centro un Pinocchio - gnomone, l'ombra del cui braccio alzato, proiettandosi sulle pareti istoriate, avrebbe indicato come un gigantesco segnalibro lo svolgersi del racconto. Aveva vinto Venturino con gli architetti Baldi e De Luigi ma il premio fu viziato dall'ex-aequo con lo scultore Emilio Greco; a questi la scultura, a Venturino la piazza. Vinta la scommessa collodiana e ultimata in soli due anni (1954 -1956) la ciclopica impresa, la sua possente struttura fisica cedette alla fatica e alla delusione. Dalla sofferenza sorse, siamo ai primi anni '60, un artista compiuto che, superato l'abisso nel quale era caduto, seppe dare vita alla seconda stagione dei ritratti cui alternava le sue carte informali, dense di materia aggregata in forme globulari. Modellò e scolpì le effigi di Romano Bilenchi, Emidio De Felice, Piero Bigongiari, Leone Traverso, Vasco Pratolini, Leonetto Leoni tra gli altri, diversi per materia ma egualmente assoluti, liberi dalla soggezione del modello, concepiti con slancio ed impeto eccezionali. Furono anche i primi anni di Loro Ciuffenna quando gli amici fiorentini venivano alla casa appena costruita di Venturino ed erano occasioni di cultura viva.
Vasco Pratolini, pietra, 1968
Piero Bigongiari, cemento, 1962
Romano Bilenchi, cemento, 1960
Fiamma Vigo, cemento, 1954
Alessandro Parronchi, cemento, 1953
Vito Taverna, cemento, 1953
SALE D-E-F
LE ORIGINI DELL'ARTE DI VENTURINO
L'esserci, il primo
e più nudo dei misteri - gli chiedo
delirando il come,
gli chiedo il perché. Si sposta
verso il profilo
della sua incarnazione lui, scompare
sotto flutti di oscurità.
Umilmente
se no
all'altro capo dello stesso enigma
lui nel bulbo del sonno
si prepara, lui sente
già alta sulle dune
la stella puntata della sua natività.
E stupisce,
stupisce di questo -
Pensieri
che ho avvertito, vibranti
nell'aria, svegli
tra la pietra intatta
e quella già formata.
O atelier
M.Luzi, Atelier di Venturino, 1978
Venturino Venturi, Ventre di madre, 1954
Dopo la guerra, dopo Milano, dopo Collodi, Venturino è mutato. Le ricerche più avanzate sono divenute la sua grammatica, e stupisce oggi la sua capacità di penetrare la sostanza delle cose, fuori dall'apparenza fenomenica. Il mistero del logos diviene un foro di luce in una pala di mulino, ed è nominato Intervento luminoso, i lineamenti del volto della madre per loro natura rotondeggianti divengono un ventre fecondo. Dall'esperienza di Collodi e dal lungo periodo della malattia scaturirono le carte a matita, tempera e cera del 1958. Da queste carte traspare, nell'accentuata spinta visionaria, la scoperta sensibilità dell'artista, che ha toccato le sorgenti archetipiche della cultura occidentale.
Venturino dipinse Pinocchio e la madre, curvo sul pavimento dell'ospedale psichiatrico di San Salvi a Firenze, potenti aggregazioni oniriche, libere dalla costrizione naturale del foglio. Sono immagini che trascendono i limiti della figura e quelli della composizione astratta. Venturino, istintivamente, cercava le sorgenti della propria ispirazione, penetrando con ardire la fonte prima della nostra storia. Il libro di Pinocchio e la Divina Commedia di Dante Alighieri avevano accompagnato il padre esule in Francia e Venturino su quelle pagine aveva imparato la lingua della sua terra. Volle riconoscersi nella vicenda del burattino, e nel gran viaggio di Dante, operando una saldatura poetica tra le memorie della propria infanzia e il proprio destino d'artista. Egli cercava le fonti della propria ispirazione nella cultura che più amava, traendo spunti dalla sua Toscana, dagli Etruschi, dai lapicidi romanici, dai manufatti della cultura contadina alle pietre modellate dall'acqua del fiume.
Ventre materno, olio su carta, 1972
Pala di mulino, 1981
Pinocchio pensoso, olio su carta, 1959
Pinocchio cardinale, olio su carta, 1959
La madre, tempera e pastelli su carta, 1958
Mia madre, pietra, 1954
SALA G
VENTURINO E DIO
Isolato e rapito nella sua passione plastica, Venturino medita, Venturino rimugina; come ogni solitario, contiene un rudimentale filosofo. Interroga il mondo da capo come se nessuno lo avesse fatto prima di lui. Le risposte più che il pensiero gliele fornisce l'istinto e l'intuito, ma senza quel rovello che tiene desti lo spirito e la fantasia, né l'istinto né l'intuito sarebbero pronti ed accesi.
M.Luzi, Venturino Venturi, un creatore di forme vive, 1963
Venturino Venturi, Meditazione, 1975
Venturino nasce spontaneamente alla fede. Giovanissimo, avverte la sacralità di ogni cosa: dell'acqua, del sole, di un ramarro che gli solletica il petto, dell'uomo e della donna, e soprattutto del mistero della nascita. E' dalla terra e dall'umanità che nasce la sua fede; ogni traccia di scalpello sulla pietra, ogni segno di matita sulla carta, lo ricongiungono a Dio, presente nell'umanità nell'atto creativo. Negli anni ottanta Venturino comincia a lavorare vecchie pale di legno provenienti dal mulino ad acqua di Loro Ciuffenna. Esse hanno in sé molti dei temi che gli sono cari. Alcune, semplici forme cave consumate dal tempo, quando giungono nelle sue mani, trapassate dallo scalpello, si aprono alla luce e divengono Verbo nascente; altre, invece, intonse vengono assemblate per suggerire l'aggregarsi della materia. Con Meditazione del 1975, straordinaria sintesi in forma di albero-pilastro, Venturino allude alle sorgenti della fertilità maschile, espressa nell'accennata virilità. La scultura, in taglio ligneo di possente fattura, certamente ispirata dal colonnato della romanica Pieve di Gropina, suggerisce quale possa essere, attraverso la fecondazione, la via del dialogo tra cielo e terra. Marmi scolpiti, chine su compensato e olii su carta sono elementi costitutivi la trama del sacro nel lavoro di Venturino.
Marmo inciso, 1978
La madre, 1973
Il verbo nascente, 1974